Intervista a Vincenzo Morabito, reggino veterano della rotaia!

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Reggio Calabria, 15 marzo 2018. Dopo qualche giorno di organizzazione, presi sempre tra mille impegni lavorativi e di studio, con l’amico Piero Minei riusciamo a concretizzare quelle due ore di salto indietro nel tempo “ferroviario”, che mai immaginavamo essere così affascinante e ricco di dettagli storici: ci riferiamo ad una intervista, dedicata al Maestro Vincenzo Morabito, classe 1927, uno degli ultimi veterani di una ferrovia ormai quasi dimenticata, e rievocata solo nei bellissimi treni storici della Fondazione FS. 
Con Piero raggiungiamo in auto casa di Vincenzo e della moglie, nel quartiere Archi di Reggio Calabria. Vincenzo abita a poche centinaia di metri dalla stazione omonima. Appena arrivati, davanti a noi sfreccia un InterCity proveniente da Roma Termini, composto dalle totalmente rinnovate vetture UIC-Z in nuova livrea IC, spinte da una E401, le praticamente nuove locomotive monocabina derivate dalle E402A, e destinate ai Servizi Universali di Trenitalia. Un curioso benvenuto con gli ultimi arrivati in casa Trenitalia, in occasione di un incontro con un ex ferroviere… che di Trenitalia forse non ne ha mai sentito parlare!
Entriamo, pochi gradini e siamo in casa di Vincenzo (91 anni, e a parte qualche acciacco, per niente dimostrati!), calorosamente accolti da lui e la moglie. Ci accomodiamo nel loro salotto, e sul tavolo troviamo ad attenderci tre fotografie che, davvero come fossero una macchina del tempo, ci riportano ad epoche di cui ormai neanche si accenna quasi più.
Non c’è stato neanche bisogno di iniziare con una prima domanda legata all’assunzione: Vincenzo Morabito ci racconta che quelle tre fotografie sono state scattate al Deposito Locomotive di Catanzaro Lido – o meglio, come lui giustamente la definisce in coerenza con l’epoca, “Catanzaro Marina” – assieme alla vaporiera 625 436, una “Signorina”, così come venne soprannominato questo gruppo di locomotive a vapore per la propria eleganza e agilità. 
Vincenzo è stato assunto dalle Ferrovie dello Stato l’1 novembre 1954, anno a cui risalgono le tre storiche fotografie, e diventa aiuto macchinista dopo 8 mesi di corso, sempre a Catanzaro Marina, assieme ad altri 26 futuri colleghi macchinisti. I primi quattro anni di servizio, li trascorre quindi quasi esclusivamente sulla Ferrovia Jonica, alla condotta di locomotive a vapore con ogni genere di servizio: dallo storico Rapido notturno Villa San Giovanni – Bari Centrale, passando per i tantissimi e pesanti treni merci, che richiedevano la spinta in coda tra San Leonardo di Cutro ed Isola Capo Rizzuto, per superare la ben nota rampa di Cutro. Con il rischio asfissia sempre dietro l’angolo, specie per i macchinisti della locomotiva di coda, all’interno della lunga Galleria di Cutro. Una curiosità, che può stimolare alcune ricerche: Vincenzo ci segnala che, tra il 1954 ed il 1958, sulla linea Jonica vennero utilizzate per la trazione dei treni merci anche alcune locomotive a vapore del gruppo 476, macchine di costruzione tedesca ed austriache ricevute dall’Italia come risarcimento danni post – Prima Guerra Mondiale. In ogni caso, non si trattava, da quanto ci ha raccontato il nostro veterano, di locomotive dalle grandi prestazioni e affidabilità: le migliori, a suo dire, rimanevano comunque le italiane 625 e 740, nel giro di pochi anni comunque sostituite dalle prime locomotive diesel-elettriche D341. La Ferrovia Jonica, da trent’anni indietro su praticamente tutto per quanto riguarda il materiale rotabile, ai tempi fu una delle prime linee ferroviarie d’Italia a ricevere una consistente dotazione di locomotive diesel in sostituzione delle vaporiere che, in alcune aree del Nord Italia, continuarono a circolare in servizio ordinario fino ai primi anni ’70! 
Vincenzo, senza che gli si ponga alcuna domanda, ci racconta anche dettagliatamente la vita ferroviaria di una linea Jonica oggi irriconoscibile, con ogni stazione abilitata alle spedizioni a carro, continuamente servite da treni raccoglitori che prelevavano i carri carichi in partenza e distribuivano quelli vuoti e/o carichi da scaricare. 
Nel 1958 si riavvicina a casa, venendo trasferito al Deposito di Reggio Calabria. E’ qui che inizia ad alternare i servizi a vapore con quelli elettrici lungo la Ferrovia Tirrenica, fino a S.Eufemia Lamezia (così come lui ancora definisce l’odierna Lamezia Terme Centrale!) e Paola, a bordo delle mitiche E626. 

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Ed a proposito di E626, Vincenzo ci ha raccontato un aneddoto relativo ad un incidente ferroviario che gli capitò in prima persona, per fortuna senza conseguenze serie per nessuna delle persone coinvolte. 
Era il 28 dicembre del 1958 in piena notte e con forte maltempo, e Vincenzo assieme ad un collega era alla condotta di una E626 in testa ad un lungo treno merci proveniente da Nord. Percorsa tutta la ferrovia Tirrenica via Tropea (ai tempi la “Direttissima” via Mileto non esisteva!), all’ingresso del posto di movimento Medma, si ritrovarono il segnale di protezione dell’impianto posto a via impedita. Anche in questo caso, Vincenzo non immagina quale testimonianza storica ci abbia regalato, poichè il Posto di Movimento Medma, probabilmente poco o per niente noto anche ai più appassionati di treni e ferrovie calabresi, venne soppresso nel 1971, ai tempi della costruzione della nuova linea a doppio binario tra Rosarno ed Eccellente via Mileto. Il PM Medma si trovava infatti poco più a nord della stazione di Rosarno, poco prima dell’attraversamento sul fiume Mesima. Il raddoppio del binario della nuova linea,praticamente inglobò a sè questo impianto che, ovviamente, sparì definitivamente. 
Tornando al racconto di Vincenzo, una volta fermati davanti al segnale di protezione di PM Medma, e trascorsi più di dieci minuti senza alcuna informazione, iniziarono a sospettare semplicemente che…il Capostazione si fosse addormentato (o meglio, come simpaticamente ha esclamato Vincenzo, “accamora è chi dormi!”)! Ma il tempo per pensare divenne ben poco quando, improvvisamente, si trovarono davanti al loro treno due fari che si avvicinavano pericolosamente: un altro convoglio gli stava piombando addosso! Immediatamente Vincenzo ed il suo aiuto macchinista abbandonano il locomotore, ed anche i macchinisti del convoglio in arrivo si accorsero chiaramente di quanto stava accadendo, azionando la frenatura rapida e scappando all’interno del corridoio del locomotore (un altro E626), in direzione della cabina posteriore, per evitare il più possibile gli esiti funesti di un quasi certo impatto. 
Così fu: con gran fragore i due E626 si scontrarono ed a causa dell’urto alcuni carri, probabilmente a cassa in legno, letteralmente esplosero ricoprendo Vincenzo ed il suo aiuto di pomodori ed altre verdure contenute all’interno dei vagoni! Per fortuna anche gli altri due macchinisti, che si scoprì stessero conducendo un altro treno merci, non ebbero gravi ripercussioni. Dopo pochi minuti giunse correndo un manovale del PM Medma, che si sincerò delle condizioni di salute del personale coinvolto nell’incidente e comunicò proprio quanto sospettato da Vincenzo: il Capo Stazione si era addormentato. Peccato però che, in seguito, si scoprì che il sistema di Blocco venne indebitamente manovrato proprio dal manovale, dando il via libera al treno merci che si scontrò con il convoglio di Vincenzo… 

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Ma un’altra grande testimonianza del nostro maestro 91enne, è quella relativa alle campagne ortofrutticole che dagli anni ’60 fino ai primi anni ’90 rappresentarono un’eccellenza del trasporto ferroviario merci italiano: ci riferiamo alle decine di treni merci di carri Interfrigo che partivano da Sicilia, Calabria e Puglia, verso le più disparate destinazioni nord europee, fino in Norvegia, Svezia, Danimarca… 
Vincenzo ricorda i lunghissimi convogli merci che originavano da Policoro e Spezzano Albanese (da quest’ultima stazione ricorda in particolare il carico di pesche), con carri che in alcuni casi raggiungevano direttamente le sedi delle società produttrici di prodotti ortofrutticoli, tramite carrello stradale, per essere caricati in loco. Oppure analoghi convogli che con tonnellate di uva da tavola partivano dalla Puglia, compresi alcuni scali delle Ferrovie del Sud Est: anni d’oro non solo per il trasporto merci su rotaia, ma anche per la stessa agricoltura del Sud Italia. 
La lunga carriera di Vincenzo termina con la pensione nell’ormai lontano 1986: ai tempi, ancora una ferrovia imparagonabile a quella odierna. Una ferrovia che era praticamente una seconda famiglia, per un ferroviere. Emblematico quanto sostenuto da Vincenzo: “un ferroviere, in qualsiasi stazione dalla Sicilia fino alla Valle d’Aosta, era come a casa: anche se il tuo collega per esempio trentino non lo conoscevi e lui non conosceva te, era come se fosse un tuo familiare. La disponibilità era assoluta, ed all’interno delle aree ferroviarie nessuno ti faceva mai mancare nulla”

E’ difficile comunicare, ancora di più in un articolo, la sensazione provata ad ascoltare questi aneddoti di vita lavorativa, e non, di Vincenzo Morabito: forse non è neanche corretto parlare di “salto indietro nel tempo”, ma è un po’ come se quel passato ormai relegato a libri ed articoli di riviste ferroviarie, fosse stato in realtà davanti a noi, qualche giorno fa. E del resto, così è stato: abbiamo sentito parlare come fosse ieri della condotta di vaporiere 625, 476, 740, ed abbiamo chiesto a Vincenzo cosa pensasse delle moderne locomotive elettroniche come le E402/E403. La sua risposta è stata: “mai sentito parlare di questi gruppi: io ho condotto negli ultimi anni le E444 e le E656… il Caimano, la più affidabile locomotiva che io abbia mai conosciuto, ma poi mi sono pensionato. Mi ricordo un po’ l’ETR450, il Pendolino…”. 
Ma del resto, sarebbe stato assolutamente riduttivo chiedere i soliti pareri e confronti tra il materiale rotabile di una volta e quello odierno. Semplicemente, per Vincenzo, dalla E444 (quella originale, nemmeno trasformata in E444R!) in poi non esiste più nulla! Frecce, Alta Velocità, nulla di tutto ciò: grandissimo rispetto per una persona d’altri tempi, che per tutti noi rappresenta un grande patrimonio umano e sociale. Ma non solo per i suoi ricordi ferroviari, con testimonianze ormai difficilissime da rintracciare in persone viventi: Vincenzo è un patrimonio umano, dai modi di fare, di parlare, di considerare il proprio lavoro ed il rispetto per il prossimo, lontano anni luce dallo status della società odierna. Nei racconti di Vincenzo abbiamo potuto percepire un’infinita passione per il proprio lavoro, ed una vera e propria devozione per quella che, come abbiamo già avuto modo di dire, non era una “impresa ferroviaria”, ma appunto una grande famiglia interconnessa in ogni angolo della nazione, magari anche costosa per le casse dello Stato, ma che in ogni caso ha ricostruito da zero l’economia e la società italiana nel dopoguerra, con particolare riferimento al Mezzogiorno d’Italia. 
Grazie di cuore Vincenzo…ed al prossimo incontro! 

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